In molte università degli Stati Uniti e di altre parti del mondo si sono da tempo istituiti dipartimenti e facoltà di Studi Buddhisti. Questo ha creato, oltre al fiorire di pubblicazioni e ricerche accademiche, anche una rete fra ricercatori, che si scambiano idee da una parte all’altra del mondo. Uno di questi è Jay L. Garfield, autore, fra molte altre cose, di un’importante (e affascinante) traduzione e commentario del Mulamadhyamakakarika, opera centrale di Nagarjuna.

Garfield ha recentemente scritto un interessante saggio dedicato a Buddhismo e modernità, disponibile in rete sul suo sito e che, insieme ad altri contributi dedicati allo stesso argomento, è pubblicato dall’editore Routledge (la traduzione integrale si trova in fondo a questo post).

Leggendo questo saggio sembra di essere su un satellite in orbita nello spazio e guardare il mondo nel suo insieme, da una prospettiva difficilmente possibile stando qui, nei nostri piccoli sistemi spazio temporali. Con il consenso dell’autore l’ho tradotto in versione integrale ma l’editore mi ha pregato di non pubblicarlo in rete fino all’uscita del volume, quindi ne riassumo i momenti principali.

Garfield analizza il fenomeno della trasmissione del Buddhismo in Occidente sul piano storico e sociologico cercando di capire quali sono le inevitabili trasformazioni che il Buddhismo imporrà alla modernità e al tempo stesso le inevitabili trasformazioni che la modernità imporrà al Buddhismo. Neutralizzando la retorica dell’autenticità che, pur essendo diffusa, è intrinsecamente contraddittoria con l’essenza stessa del Dharma.

L’analisi parte dalla differenza storica delle modalità di trasmissione del Buddhismo dall’India in Cina e in Tibet. L’esperienza tibetana è stata quella dell’arrivo simultaneo dell’intera tradizione sviluppata attorno all’Università di Nalanda in un paese, il Tibet, privo di linguaggio scritto, con scarsa unità politica, e nessuna tradizione filosofica. La lingua tibetana fu reinventata per tradurre dal sanscrito e la traduzione del Canone fu intrapresa unitariamente da una squadra di professori sotto il controllo di un comitato imperiale. Chinese_printed_sutra_page,_dated_to_the_Song_dynasty

L’esperienza cinese, al contrario, vede il Buddhismo arrivare a pezzi, poco alla volta, in ordine casuale, in diversi luoghi, in un paese con una lingua e un pensiero filosofici estremamente sviluppati, dove chiunque poteva autonomamente tradurre un testo dal sanscrito attingendo ai vocabolari filosofici preesistenti propri del Taoismo e del Confucianesimo. Con il risultato della creazione di tradizioni buddhiste cinesi spesso molto differenti tra loro, che usavano un linguaggio assai diverso da quello del buddhismo indiano.

Garfield trova dunque che il modello della trasmissione recente del Buddhismo in Occidente è quello cinese, non quello tibetano. Giungendo in Occidente, il Buddhismo trova una cultura colta, istituzioni politiche e religiose avanzate, una filosofia, un’arte e una letteratura sofisticate. Vi giunge in modo non sistematico, a pezzi, lasciando, come in Cina, grandi lacune testuali ancora da riempire. Come in Cina, una nuova, strana importazione.  Dovremo dunque aspettarci che penetrerà lentamente, in molte diverse forme, influenzate dalle idee dell’Occidente. A noi occidentali, spesso capita, nei gruppi di meditazione e condivisione, di ascoltare interventi che vengono da frequentazioni di scuole molto diverse tra loro: qualcosa di impensabile, finora, nelle tradizioni orientali.

220px-Central_Asian_Buddhist_MonksFinora: perché, oltre a queste somiglianze, esistono delle differenze importanti. In particolare, la caratteristica specifica della trasmissione in Occidente, che non ha precedenti nelle trasmissioni asiatiche, è quella di essere a doppio senso. La Cina non influì sul Buddhismo indiano, il Giappone non influì su quello cinese, il Buddhismo di Sri Lanka non influì su quello indiano e così via. Ma in Occidente le cose sono assai diverse perché la trasmissione avviene in un contesto di globalizzazione e di diaspore e questo porta a un forte riflesso delle idee occidentali e dello stesso Buddhismo occidentale sull’Asia.

Un’altra importante differenza è quella per cui, mentre nella diffusione del Buddhismo all’interno dell’Asia assistiamo alla trasmissione di un singolo lignaggio o tradizione alla volta, da un luogo specifico a un altro, in Occidente tutte le tradizioni e lignaggi arrivano insieme e spesso nello stesso luogo. Il carattere simultaneo e molteplice di questa trasmissione avrà un effetto profondo sulla formazione del Buddhismo occidentale e , di conseguenza, su quello asiatico.

Una terza caratteristica è che, muovendosi verso Occidente, il Buddhismo viene associato all’idea di modernismo: la scoperta che il Buddhismo non è antico bensì moderno è contemporanea alla sua trasmissione in Occidente. E così, in Asia, si sviluppa la concezione di un Buddhismo impegnato nei diritti umani, ecologico, vicino alle scienze, perfino femminista: tutte idee occidentali, non tradizionalmente asiatiche. O buddhiste.

E l’effetto più profondo di questa trasmissione multipla e simultanea del Buddhismo in Occidente e del suo assorbire nuove idee, comprese quelle della progressività e del pluralismo, è che, sia in Occidente che in Asia, buddhisti di diverse tradizioni stanno imparando uno dall’altro: un dialogo fra tradizioni del tutto nuovo che vede praticanti Zen parlare con Lama tibetani e con i meditatori di Goenka, fino alla conferenza Vinaya di Sarnath che riunisce monaci e monache di tutte le tradizioni: un evento che sarebbe stato impossibile senza la mediazione della modernità occidentale.

Una vera e propria interazione, dunque, guidata da forze diverse: l’immigrazione, l’esilio, l’attività missionaria ma anche l’istituzione di studi moderni in ambito universitario e non. L’approccio accademico agli studi ha una significativa influenza sulla pratica buddhista perché si rivolge ai testi radice e porta alla comparazione di diverse letture, in profondità: una concezione del canone buddhista come complesso, conflittuale, transculturale, progressivo e multilingue, che influisce sulla pratica dei centri convenzionali.

Questo porta a un nuovo interesse di studiosi buddhisti tibetani, giapponesi, cinesi verso la filosofia occidentale come una via alternativa per la comprensione delle idee filosofiche buddhiste: vedremo dunque, in Occidente come in Asia, un Buddhismo influenzato dalla storia della filosofia occidentale, la tradizione filosofica che costituisce la struttura portante della modernità.

La questione dell’autenticità appare dunque in una prospettiva diversa: da una prospettiva buddhista, la storia è spesso concepita come una degenerazione da un insegnante onnisciente a esseri umani sempre più fallibili, in una lenta scomparsa del Dharma. E’ una visione centrale nell’autorappresentazione buddhista che tuttavia si modifica nell’incontro con l’Occidente. In Occidente concepiamo la storia come un progresso da una visione primitiva a una più illuminata: un emergere dal buio, non uno sprofondarci.  Del resto, nonostante il fatto che ogni tradizione sia soffusa dalla retorica dell’autenticità, non è un caso che coloro che sono sempre stati più stimati sono stati proprio gli insegnanti più creativi e teoricamente innovativi: l’innovazione e il progresso non costituiscono niente di nuovo e particolarmente moderno, nella storia del Buddhismo. Lo è solo il loro riconoscimento.

Non dobbiamo dunque preoccuparci, nell’osservare e partecipare ai cambiamenti portati nella tradizione buddhista occidentale e asiatica come risultato dell’interazione del Buddhismo con la modernità, del fatto che il Buddhismo non sia più autentico, che sia cambiato. Reagire in questo modo significherebbe dimenticare l’argomento stesso del Buddhismo: risolvere il problema della sofferenza attraverso una diagnosi e una pratica. Niente di tutto ciò è stato abbandonato, nell’incontro del Buddhismo con la modernità, né lo è stato nelle infinite trasformazioni della dottrina e della pratica buddhiste dal tempo del Buddha fino all’era moderna: il cuore dell’impegno fondamentale è rimasto intatto.

Qui la traduzione integrale del saggio di Jay Garfield.

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