Photo by Cheron James on UnsplashNel corso delle innumerevoli azioni che riempiono le nostre giornate pensiamo continuamente, e abbiamo l’impressione che ci sia qualcuno, là in fondo alla mente, un nostro sé antico che ci ha sempre accompagnato, che ci parla e col quale ci confrontiamo. Chi è costui, e da dove ci viene questa convinzione?

Quando guidiamo una macchina, o camminiamo, o laviamo i piatti, insomma quando ci muoviamo nel mondo concreto, spesso pensiamo a tutt’altro. Ed è del tutto normale. I nostri sensi rimangono saldamente agganciati alle percezioni del momento presente, siamo in controllo dello spazio e del tempo della nostra azione, eppure la nostra mente è anche in un altro spazio e tempo, in un flusso di pensieri: preoccupazioni, rimpianti, speranze, ricordi, dialoghi o monologhi interiori, progetti, fantasie, immagini proiettate in un futuro. Contenuti mentali coscienti dei quali, durante la pratica meditativa, diventiamo anche consapevoli.

D’altra parte, a pensarci bene, questo succede anche quando ascoltiamo qualcuno parlare o guardiamo un film o leggiamo un libro, in ogni momento della nostra giornata. Restiamo ancorati alle nostre percezioni sensoriali (la voce o le immagini o la carta stampata o la temperatura dell’ambiente, o il pavimento su cui poggiamo i piedi e via così) e al tempo stesso siamo proiettati oltre quelle stesse percezioni, verso contenuti rappresentati.

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Questa capacità di rappresentare circostanze che non sono nel momento presente e di tenerle separate dalla simultanea percezione sensoriale è stata definita rappresentazione duale ed è una caratteristica avanzata che abbiamo raggiunto nel corso dell’evoluzione della nostra specie. A quanto sembra, a un certo punto della sua storia, la nostra specie ha sviluppato la capacità di mantenere contenuti percettivi e contenuti rappresentati giustapposti ma funzionalmente separati.  Ovvero di non essere condizionata, nelle proprie azioni, soltanto dalla percezione sensoriale immediata: dalla fame o dallo stimolo sessuale o dalla vista del pericolo. Alla percezione degli eventi presenti si è quindi potuta unire una rappresentazione indipendente dei fini, ovvero di eventi futuri potenziali desiderabili. L’azione può essere configurata in modo da portare gli stati percettivi presenti più vicino agli stati espressamente rappresentati.

Uno sviluppo di tale profondità ha certamente portato grandi cambiamenti. In primo luogo la liberazione dalla servitù al momento presente, certo, anche se ottenuta a caro prezzo: la capacità di pensare a quello che non sta accadendo è una conquista cognitiva che ha un costo emozionale.

Si è posta poi la necessità di riorganizzare la mente sia sul piano fisico (cerebrale) che su quello cognitivo. Si è posto infatti, nel corso del tempo, il problema di attribuire un’origine ai contenuti mentali rappresentati.

Se qualcuno ci parla, noi sentiamo che i pensieri che quelle parole fanno nascere dentro di noi sono indotti dall’esterno, e manteniamo al tempo stesso la percezione sensoriale della sua voce e della sua presenza fisica. I nostri pensieri, invece, sono privi di una fonte sensoriale, non possono essere attribuiti a una fonte esterna. Da dove vengono, allora?

E’ possibile che in tempi antichi questi contenuti mentali fossero attribuiti a voci interne di carattere divino o ancestrale, e che poi, nel corso del tempo, queste voci divine siano progressivamente recedute nel silenzio per lasciare il campo a una voce interna legata al corpo stesso: il sé.

Ma a parte questa suggestiva ipotesi, che riguarda i modi dell’identificazione di questa voce, l’idea di un sé sembra  nata per rispondere alla necessità di dare un’origine ai nostri contenuti mentali. Lungi dall’essere un organo naturale che forma il contenuto della nostra intera esperienza, il nostro sé parrebbe piuttosto, esso stesso, un contenuto mentale specifico, un pensiero che si differenza dagli altri soltanto per il fatto di essere meta-rappresentativo invece che semplicemente rappresentativo.

Così come lo percepiamo, il nostro sé sarebbe insomma, secondo alcune correnti della Filosofia della Mente, un contenuto mentale, reso possibile da una capacità biologica di rappresentazione duale e basato su processi conoscitivi e di apprendimento. Continuamente confermato dal nostro contesto sociale e culturale.

Certamente i nostri sé hanno una loro esistenza: a fondamento di questi pensieri identitari sta infatti un processo esperienziale soggetto a continuo cambiamento. Una serie di eventi che dipendono da un’infinità di cause e condizioni. La nostra unicità è data dall’unicità e irripetibilità delle condizioni del processo. Come in una danza in cui, attimo dopo attimo, ciascun movimento trae senso dalla memoria dei precedenti e dall’anticipazione dei futuri movimenti. Così come una melodia trae significato dalle relazioni tra le note che la compongono. Whirling-Dervishes-

La riduzione di questo processo a un’entità a sé stante risponderebbe al bisogno di attribuire un soggetto a una voce nella nostra mente, suscitata dalla nostra capacità biologica di rappresentazione duale. Quella vocina che dal fondo della nostra mente ci parla, da quando siamo piccoli, o alla quale parliamo, o che dialoga con altre figure della nostra mente, quella vocina alla quale siamo (comprensibilmente) affezionati proviene alla fine da qualcuno che a sua volta è fatto della stessa natura di quelle figure con le quali dialoga: un  pensiero, un fenomeno rappresentazionale. Tenero, mutevole, condizionato a sua volta da cause e condizioni, impermanente.

L’apparenza del sé come sostanziale, costante e indipendente è del tutto naturale, svolge un’importante funzione di costruzione dell’Io in un contesto fortemente sociale e intersoggettivo. La saggezza consiste nel non farsi ingannare dalle apparenze credendo che il sé sia davvero così, e nel rendere quindi possibile il cambiamento e la trasformazione.

Quando dunque, durante la pratica meditativa, sorge la consapevolezza di questo dialogo e di questa narrazione interiore, possiamo provare a sganciarci dal flusso ancorandoci alle sensazioni del nostro corpo. Possiamo provare a dimenticarci, per un momento, che ci sia qualcuno che è consapevole e a stare semplicemente con la consapevolezza. Potremmo provare un senso di sollievo, di interconnessione, di apertura e di libertà.

 

Qualche riferimento:

Wolfgang Prinz: Emerging selves: Representational foundations of subjectivity (PDF)

Julian Jaynes: Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza

Sam Harris: The Self is an Illusion (Youtube)

Evan Thompson: Waking, Dreaming, Being

Thomas Metzinger: Il tunnel dell’io

Killingsworth and Gilbert: A Wandering Mind is an Unhappy Mind (PDF)

 

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Ceremony of the Dancing Dervishes, Alamy Stock

 

 

 

 

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