Entro nel mio caffè preferito, non c’è tanta gente perché ho scelto un’ora comoda, posso sedermi al mio solito tavolino, vicino alla vetrata che dà sulla via Marghera.  Ordino un caffè all’amico Enzo, mi volto verso la vetrata ed ecco che, all’improvviso, arriva: lo sguardo mi si fissa su qualcosa al di là della strada, forse un riflesso o un colore, i suoni e le voci nel locale si ovattano e si compattano, il tempo si ferma, e sento che tutto può aspettare.

Sono abituato a queste frequenti, intense, piccole trance quotidiane che introducono i sogni a occhi aperti: sono sempre stato un daydreaming boy, almeno fin dai tempi dei Lovin’ Spoonful, eppure questa volta osservo quello che accade in un altro modo.  In primo piano c’è il respiro che scorre nelle narici, e mentre lo seguo con un certo stupore provo a valutare la possibilità di voltare la testa verso l’interno del locale e mi accorgo che, in modo bizzarro, questa possibilità non c’è. O meglio: potrei voltarmi ma non voglio. Nella fissità del collo e dello sguardo c’è un piacere che assomiglia a una necessità.

Mi accorgo che il flusso dei pensieri è in attesa di un segnale, di un cenno, di un permesso, come un’onda sospesa, pronta a travolgere ma in questo momento ferma.  Se in questo momento il segnale arrivasse, partirebbe il sogno a occhi aperti e lo stato cambierebbe di natura ma il segnale da me non arriva perché sto semplicemente osservando quello che accade.  I rumori dietro di me, di voci, di tazzine, di passi, di sedie spostate, sono lontani, vengono da un altro mondo, un mondo amichevole, avvolgente,  in cui le parole sono solo suoni.onda2

Sto col respiro che scorre, con la luce della strada, e all’improvviso l’onda dei pensieri si ritira, sparisce, e resta un silenzio circondato di suoni. E’ uno stato diverso dal daydream: senza immagini, senza storie, semplicemente sospeso, come in volo eppure radicato, e assai piacevole. Mi viene da sorridere, sorrido, nell’attesa che passi. Perché infatti passa da solo, dopo un tempo che so di non sapere, e finalmente mi volto verso l’interno del locale proprio mentre Enzo mi porta il caffè.

caffè6E’ stato un momento di comune trance di tutti i giorni: ci succede, per esempio, di non renderci conto che ci viene rivolta la parola, o di accorgerci di essere arrivati a destinazione senza ricordarci come.  Già negli anni Ottanta Ernest Rossi notava che questi fenomeni sono regolati dalla frequenza dei ritmi fisiologici ultradiani, alternanza di funzioni automatiche e cerebrali, che stanno all’interno dei più ampi ritmi veglia/sonno. E osservava che la più peculiare lacuna della coscienza è la sua incapacità di rendersi conto dei propri limiti e stati alterati nel momento in cui li esperisce (per esempio del sogno, mentre sta sognando). La coscienza ci appare, secondo Rossi, impegnata a mantenere una concezione fissa, stabile di se stessa, in una abituale mancanza di consapevolezza.

Ma dirigere l’attenzione consapevole verso il fenomeno della (nostra) trance quotidiana, mentre appare, significa riappropriarsi della sua forza. In quello stato di attenzione, in quella forma di contatto con noi stessi che scavalca i condizionamenti della mente cognitiva, non è necessario darsi suggestioni. Si può anche semplicemente stare.

 

 

 

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